L’INTERVISTA
Delitto di Cairate, il papà: «Potevano salvare Andrea»
Parla Tino Bossi: «Chiunque abbia ucciso mio figlio deve pagare». Si cerca una nuova casa per il cane Ares
«Ares è un pezzo di Andrea, deve stare con persone che lo amino e si prendano cura di lui»: rompe il silenzio per la prima volta Tino Bossi, padre del giovane ucciso nella sua abitazione la notte tra venerdì 26 e sabato 27 gennaio. L’uomo è costretto a cercare una nuova casa per il cane. Tino Bossi si trova a fare una scelta dolorosa e complicata, l’ennesima. «Pare che non ci sia pace per la nostra famiglia», spiega con la pacatezza e gentilezza che lo hanno contraddistinto in questi mesi. Partendo proprio dalla volontà di trovare una sistemazione al cane della vittima, per la prima volta Bossi parla dell’omicidio del figlio. Era stato lui a ritrovare il corpo esanime del giovane verso le 13 di quel sabato mattina in via Mascheroni a Cairate.
Signor Bossi, si sono spenti i riflettori del tribunale mediatico...
«Niente e nessuno ci restituirà Andrea. Ci sono due ragazzi (Douglas Carolo e Michele Caglioni, il padre non li chiama mai per nome, ndr) in carcere che sono accusati dell’omicidio, sono molto giovani. Sono detenuti da tre mesi, non è una situazione semplice. Attendiamo di vedere il corso della giustizia e il rinvio a giudizio e con quali accuse. Prenderemo anche noi un avvocato che ci seguirà nel processo, per il momento è prematuro finché non ci saranno evoluzioni. In questi mesi, abbiamo avuto l’assalto delle televisioni sotto casa subendoli, come sapete non ho mai voluto parlare».
I genitori dei due ragazzi sono andati in televisione, e la lettera che anche voi avete ricevuto?
«La morte di Andrea ha portato con sé tanto dolore e altre vittime. Loro fanno i genitori (lo dice con tono pacato e razionale, a tratti si legge pietà anche per loro, ndr). Ripeto, io non sono andato in televisione e noi desideriamo che la giustizia faccia il suo corso. E desideriamo che chi ha commesso il delitto paghi il suo debito con la giustizia, anche se noi non riavremo mai Andrea. Ci ha mandato una lettera con il racconto, la sua versione dei fatti (non fa il nome di Michele Caglioni ma si riferisce a lui, ndr). Ne ha spedita una alla Rai (a Rai Uno, ad Alberto Matano, ndr) e una noi famigliari».
E cosa ne pensa?
«Qualsiasi cosa sia accaduta e non entro nel merito perché solo da un eventuale processo potremo ricostruire gli eventi. Mi resta il tarlo che se avesse chiamato i soccorsi, magari Andrea si sarebbe salvato. Invece non l’ha fatto perché ha ritenuto che fosse già morto. Avrebbe potuto salvare mio figlio».
Che idea si è fatto?
«Penso giorno e notte a quello che è accaduto. Ovviamente non trovo un motivo, perché non c’è una ragione per togliere la vita. Ma al momento dobbiamo aspettare che si celebri il processo. Restando nel campo dei miei pensieri personalissimi e quindi da prendere come tali, ritengo che Andrea non fosse più il bancomat personale e dunque sia stato ucciso per questo».
Parlare di perdono pare prematuro. Lei, almeno crede nella giustizia riparativa?
«Al momento non sappiamo neppure chi abbia ucciso mio figlio. Prima desideriamo sapere chi lo ha ucciso. E poi - chiunque sia - vogliamo che paghi il suo debito in carcere. Che siano un giorno, cinque, dieci anni o tutta la vita».
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