LA MINACCIA
Alla porta teste d’agnello
Macabra estorsione: sessantanovenne andrà a processo
Il rinvenimento fu a dir poco uno shock: due teste di agnello appese con il filo di ferro ai lati della porta di ingresso, con due pietre in bocca e i chiodi conficcati nella scatola cranica. E non serve l’appartenenza a cosche malavitose per capire che fosse un’intimidazione.
Le indagini del Commissariato portarono a un sospettato preciso che ieri, venerdì 12 luglio, il gup Piera Bossi ha rinviato a giudizio: difeso dall’avvocato Francesca Cramis il sessantanovenne accusato di estorsione andrà a dibattimento.
L’episodio risale a Ferragosto del 2015, ma a quanto pare fu l’apice di una serie di minacce che l’imputato rivolgeva ai suoi vicini di casa, marito e moglie “colpevoli” di aver ereditato beni e denaro da un anziano dirimpettaio che su di loro si era appoggiato molto negli ultimi anni della sua vita.
Il sessantanovenne calabrese, dopo la morte del pensionato, iniziò a pretendere una parte di lascito.
«Mi aveva promesso 10mila euro e io adesso li voglio», non faceva che ripetere. I coniugi non avevano però alcuna intenzione di cedere, anche perché di scritto non c’era nulla. L’imputato divenne ogni giorno più assillante e minaccioso, quei 10mila euro per lui erano ormai un’ossessione. Un giorno incrociò il figlio cinquantenne della coppia e ammonì pure lui.
«Dì a tuo padre - disse - di non passare più davanti a casa mia, ricordagli che mi deve 10mila euro e lui sa perché. Se fossimo giù da me (il congiuntivo a dire il vero non l’ha usato) gli prenderei la testa e gliela strapperei come un porco», sbraitò simulando il gesto dello sgozzamento. Il cinquantenne non badò molto a quell’invettiva, nemmeno la riferì ai genitori, ritenendole parole al vento.
Nel frattempo marito e moglie partirono per il mare e al figlio lasciarono l’incombenza di controllare la casa.
Il 15 agosto, l’uomo fece la macabra scoperta e, sconvolto, chiamò la polizia.
Gli investigatori acquisirono subito le informazioni necessarie per ricostruire i fatti e per risalire all’autore del gesto piuttosto mafioso. Fecero anche una perquisizione, disposta dal pubblico ministero Maria Cristina Ria, e nel congelatore del calabrese trovarono parecchie porzioni di carne ovina. Ovviamente non effettuarono approfondimenti genetici per verificare se le teste appese all’ingresso corrispondessero alle braciole conservate in frigorifero. E oltretutto, interrogato il macellaio, gli inquirenti appresero che il sessantanovenne suo cliente era un carnivoro convinto ma che dal suo negozio mai sarebbe uscito un cranio di pecora. Ma tant’è, tutti gli indizi portarono comunque al calabrese. Che ora si difenderà in aula.
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