IN APPELLO A MILANO
Strage di Samarate: ergastolo per Maja
Confermata la condanna in appello. La difesa aveva chiesto una nuova perizia. L’imputato: «Confido nel perdono di Gesù»
La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha confermato oggi, mercoledì 14 febbraio, la sentenza di condanna all’ergastolo a carico di Alessandro Maja, il geometra milanese di 59 anni che il mattino del 4 maggio del 2022 massacrò nella villetta in via Torino a Samarate la famiglia, uccidendo a martellate la moglie Stefania Pivetta e la figlia Giulia e riducendo in fin di vita il figlio Nicolò, unico sopravvissuto.
Respinto dunque il ricorso presentato dagli avvocati Gino Colombo e Laura Pozzoli contro la sentenza della Corte d’Assise di Busto Arsizio emessa il 21 luglio scorso.
L’imputato, presente in aula, prima della discussione delle parti, aveva reso spontanee dichiarazioni: «Adoravo la mia famiglia», ha dichiarato, leggendo uno scritto autografo. «Ho agito a seguito di un mio grave squilibrio emotivo e, per questo, ho cancellato la mia famiglia. Ora mi aspetto una pena adeguata. Non riuscirò mai a perdonarmi fino all’ultimo dei miei giorni. Confido nel perdono di Gesù determinato dal mio pentimento».
Non ha presenziato all’udienza Nicolò Maja, tuttora ricoverato all’ospedale di Circolo di Varese, dove lo scorso 2 febbraio è stato sottoposto a intervento di neurochirurgia per l’applicazione di una protesi cranica. Accanto all’avvocato Stefano Bettinelli c’era Giulio Pivetta, anch’esso parte offesa nel processo unitamente alla moglie Ines Lusto e al figlio Mirko.
La procuratrice generale di Milano Francesca Nanni aveva sollecitato la conferma della sentenza di condanna. «Siamo di fronte a una grandissima tragedia. Da tutti i punti di vista. Si fa fatica ad accettare che una persona sana possa avere fatto un gesto così efferato, ma noi dobbiamo affrontare questa vicenda con le armi del diritto», aveva detto. «Ho letto le conclusioni del perito, Marco Lagazzi, e mi hanno convinto. All’epoca dei fatti, Maja non soffriva di un disturbo della personalità così grave o di una forma di depressione maggiore tale da ridurre o da scemare grandemente la capacità di intendere e volere dell’imputato».
Il processo era iniziato questa mattina, mercoledì 14 febbraio, davanti alla Corte d’Assise d’appello di Milano il processo per Alessandro Maja, 58enne interior designer che, nella notte tra il 3 e il 4 maggio 2022, uccise nella loro casa a Samarate la figlia Giulia di 16 anni e la moglie Stefania Pivetta, 56enne, a colpi di martello mentre stavano dormendo, per poi tentare di ammazzare anche il figlio maggiore Nicolò, 21 anni, sopravvissuto.
In primo grado Maja, presente in aula a fianco del legale Giulio Colombo, è stato condannato all’ergastolo e ad un anno e mezzo di isolamento diurno.
LA RICHIESTA DELL’ACCUSA
La procuratrice generale di Milano Francesca Nanni ha chiesto di confermare la condanna all’ergastolo e a un anno e mezzo di isolamento diurno per Alessandro Maja. La pubblica accusa, in sostanza, ha chiesto di respingere la tesi difensiva che punta sul vizio parziale di mente. La difesa chiede, infatti, che venga effettuata in secondo grado una nuova perizia psichiatrica.
«CHE COSA C’É DI PIÙ GRAVE?»
Si è trattato - ha detto la procuratrice - di una «azione gravissima, cosa c’è di più grave di aggredire la propria famiglia e i propri figli?». La perizia psichiatrica «ci ha detto che di fronte a questa azione, il disvalore poteva essere compreso, è stato un fatto efferato, cruento e crudele». Il presunto disturbo di personalità invocato dalla difesa, ha aggiunto Nanni, «non è stato tale da far scemare la capacità di intendere e volere».
LA DIFESA: «SERVE NUOVA PERIZIA»
«Tutti i testi confermano che si era isolato già da due, tre mesi con comportamenti incomprensibili, mandava messaggi deliranti ritenendo di aver commesso errori lavorativi, che erano solo nella sua mente». Lo ha detto l’avvocato Giulio Colombo, legale di Alessandro Maja, chiedendo ai giudici di secondo grado di riaprire il processo con una nuova perizia psichiatrica.
La Corte si è ritirata in camera di consiglio e la decisione (sentenza o riapertura del processo) è attesa per le 12.30.
Nella perizia psichiatrica, effettuata in primo grado dal perito Marco Lagazzi, ha spiegato il difensore di Maja, «manca il verbale del 4 maggio 2022 del Pronto soccorso, che conferma le conclusioni del nostro consulente». «Maja - ha aggiunto il difensore - era dentro un delirio perché quei problemi lavorativi non c'erano. In quel Pronto soccorso gli avevano già somministrato farmaci per una depressione grave».
La difesa ha anche chiesto che le attenuanti generiche, già concesse in primo grado, siano, però, riconosciute come equivalenti alle aggravanti, anche perché «lui ha subito confessato». Ci sono, poi, ha chiarito il difensore, tre verbali «del giudice tutelare» di luglio, ottobre e gennaio sui «versamenti risarcitori» e che accertano che è «in corso tra la difesa e le parti civili il tentativo di trovare una definizione sul risarcimento ai familiari rispetto al patrimonio dell’imputato».
NICOLÒ E IL NUOVO INTERVENTO CHIRUGICO
Il figlio sopravvissuto alla strage, Nicolò, come spiegato stamani ai giudici (presidente Caputo) dall’avvocato di parte civile Stefano Bettinelli depositando un certificato medico, è dovuto tornare in ospedale nei giorni scorsi per un altro intervento chirurgico programmato. Il giovane, che ha riportato gravi traumi e un’invalidità all’80%, aveva definito la sentenza di primo grado, del luglio scorso, «giusta, il minimo» per quanto commesso da suo padre, e aveva detto di non essere disposto a «perdonare mai», nonostante creda in un suo pentimento, che però «non sarà mai abbastanza».
In aula per la famiglia c’è il nonno di Nicolò, Giulio Pivetta, e a rappresentare l’accusa la procuratrice generale Francesca Nanni.
La difesa, come detto, punterà sul riconoscimento di un vizio parziale di mente dell’imputato, anche se una perizia psichiatrica disposta dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio aveva accertato la piena capacità di intendere e volere dell’uomo.
IL MOVENTE
Inizialmente gli investigatori avevano ipotizzato come movente della strage familiare una possibile fine del matrimonio, pista poi abbandonata per concentrarsi su ipotetici dissesti economici. Anche in questo caso, però, dalle verifiche non è emersa alcuna difficoltà finanziaria e, dunque, il movente è sempre rimasto un’incognita.
© Riproduzione Riservata