PRECURSORE
Nell’universo verde e infinito di Alik Cavaliere
«Perché la scultura che può fare una Venere, non può fare un pomo?», si chiedeva Arturo Martini nel suo testo programmatico «Scultura lingua morta». Una risposta a questo interrogativo si trova nei mondi vegetali, carichi di simboli, di Alik Cavaliere (1926-1998) - in mostra a Palazzo Reale a Milano - nei frutti, rami e foglie di piombo, cemento, ferro.
A vent’anni dalla scomparsa di uno dei protagonisti della cultura ambrosiana del secondo dopoguerra, Milano gli rende omaggio con un’antologica, curata da Elena Pontiggia e pensata su più sedi (Palazzo Reale, il Museo del Novecento, il Centro Artistico Cavaliere e l’Università Bocconi, cui si affiancano i focus a Palazzo Litta e alle Gallerie d’Italia) che ricostruisce il percorso dell’artista, soffermandosi sul tema della natura.
Nato a Roma da un poeta italiano e da una scultrice ebrea russa, Cavaliere studiò a Milano, al liceo Berchet e poi all’Accademia di Brera, dove ebbe come professori Achille Funi, Giacomo Manzù e Marino Marini, che poi sostituì nella cattedra di scultura. Compagno di corso di Emilio Tadini, Enrico Baj e Dario Fo, con cui strinse profonda amicizia, coltivò molti interessi: suggestioni dal teatro e dalla letteratura riecheggiano nei suoi lavori, insieme a numerose fonti di ispirazione, da De Chirico a Magritte, da Giacometti a Duchamp, dall’informale alla Pop Art all’arte concettuale.
Il cuore della mostra è a Palazzo Reale dove, tra gli stucchi e le pareti ferite dalla guerra della Sala delle Cariatidi prendono vita intrichi di rami sottili e di foglie floride o accartocciate, che sembrano risultato della paziente cura di un giardiniere, ma sono il realtà il frutto di un sapiente lavoro artigianale, da bottega antica. Cavaliere usava infatti la tecnica classica della fusione a cera persa, lavorando con modelli creati direttamente dal calco di foglie e rami, prediligendo il tronco leggero del sambuco, arbusti cresciuti su un marciapiede, erbe matte attecchite nelle discariche, rami trovati vicino al suo studio in via de Amicis.
Esploratore di tecniche e tematiche, libero da schemi, Cavaliere stupisce sempre, nelle opere più piccole, come l’elegante «Monumento alla mela» che fa pensare a Magritte, e in quelle monumentali, come «Grande pianta. Dafne», omaggio alle «Metamorfosi» di Ovidio: il corpo di Dafne avvolto da un intrico di rami allude al legame simbiotico tra uomo e natura. In tempi non sospetti, infatti, Cavaliere rifletteva senza retorica sulla natura da tutelare perché, come l’opera d’arte, è «un non finito, che è una delle forme in cui si manifesta l’infinito».
«Alik Cavaliere. L’universo verde» - Milano, Palazzo Reale, fino al 9 settembre lunedì 14.30-19.30, da martedì a domenica 9.30-19.30, giovedì e sabato 9.30-22.30, ingresso libero; altre sedi: www.alikcavaliere.it.
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