IL CASO
«Noi sinti viviamo nel terrore»
Appello della comunità di via Lazzaretto ai gallaratesi contro lo sgombero
«Noi, abitanti del campo sinti di via Lazzaretto a Gallarate, viviamo nel terrore».
Quello di perdere tutto in una manciata di giorni, dopo undici anni di serenità in un’area cresciuta insieme con loro, e finire in strada senza prospettiva. Esternano subito in una parola precisa - appunto «terrore» - i loro incubi 15 famiglie (più di 200 persone tra bambini, adulti e anziani) della comunità di Cedrate da quando l’amministrazione comunale di centrodestra guidata dal sindaco Andrea Cassani ha annunciato che devono sloggiare a causa delle irregolarità urbanistiche trasformate in case mobili. Lo fanno in un appello pubblico alla città firmato dai rappresentanti dei nuclei familiari: Alessio Iuba Ferrari, Santo Giulio Renati, Valentino Renati, Moreno Herzembergher, Eros Zucchetti, Moreno Tribini, Paloma Casagrande e Terry Ferrari. Da gallaratesi chiedono aiuto ai gallaratesi.
L’OBIETTIVO
«Chiediamo ai cittadini di Gallarate di provare per un momento a mettersi nei nostri panni e a capire che siamo esseri umani esattamente come loro e che i nostri figli sono semplicemente bambini che sognano esattamente come i loro».
E questa è la conclusione della lettera aperta. In pratica, l’obiettivo è ottenere la solidarietà della cittadinanza in modo da fermare lo sgombero intimato dal Comune.
IL RISCHIO
Tra il sentimento manifestato all’inizio e la richiesta presentata alla fine ci sono le loro ragioni. Illustrate anche nel confronto di giovedì 28 giugno in municipio.
«I nostri antenati hanno vissuto a Gallarate, noi e i nostri figli ci siamo nati, al cimitero della città ci sono i nostri morti e i nostri bambini vanno nelle scuole insieme con gli altri bambini gallaratesi», scrivono.
«Siamo cittadini della nostra città, ma non siamo considerati tali. Il rischio che corriamo è di rimanere letteralmente per la strada senza niente e senza un posto in cui condurre una vita normale e dignitosa».
I VERI CITTADINI
La consapevolezza di perdere tutto è data proprio dal tentativo di mediazione fallito. Infatti: «Durante l’incontro con il sindaco ci è stato detto che non ci sono prospettive per noi, visto che abbia uno stile di vita che non si addice ai “veri cittadini”. Il sindaco ci ha detto che “possiamo nomadare per un po’ e andare per esempio a Rho”».
Il problema, però, è che lo stile di vita della comunità non è nomade e, sottolineatura tutt’altro che casuale, «nemmeno in contrasto con le leggi italiane».
LA CONCESSIONE
Fondamentale dunque è l’area avuta nel 2007, «come soluzione alternativa al posto dove stavamo da anni in centro», dal Comune.
«Ci ha assegnato quel pezzo di terra nuda, nemmeno recintata, con allacci fognari, ma senza bagni che abbiamo dovuto costruire noi».
Certo, la concessione era per un anno.
«Ma ci dissero allora: “non vi preoccupate, poi sarà rinnovata di anno in anno”. Ed è stata tacitamente rinnovata fino a oggi».
Come dire che non regge la tesi del mancato rinnovo.
Tuttavia.
«Il futuro che si prospetta è che a fine agosto arrivi la famosa ruspa. E noi saremo cacciati da ogni luogo dove cercheremo di mettere le nostre strutture mobili, saremo perseguitati dalla polizia e dai vigili ovunque appariremo, costretti a “nomadare” con la forza e non per nostra scelta e cultura».
MAMME E BAMBINI
E qui c’è il fulcro del terrore. Che è lo scenario ipotizzato dal Partito democratico quale logica conseguenza dello sgombero: mamme e bambini in comunità protette.
«Non ci interessa il costo economico, ma il terribile costo umano che queste operazioni avrebbero su di noi», scandiscono i sinti di via Lazzaretto.
«Perché le nostre famiglie, l’affetto e l’unità che ci legano sono l’unica ricchezza che possediamo».
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