LA SENTENZA
Amianto, condanna a 2 anni
Operaio fu esposto negli anni ottanta e morì di mesotelioma nel 2011: riconosciuto responsabile di omicidio colposo l’allora amministratore dell’azienda di Lonate Ceppino, oggi 84 anni. Risarcimento di 50mila euro
Morte da amianto, condannato a due anni di reclusione l’ex legale rappresentante di un’importante azienda del Tradatese. Si è conclusa mercoledì 5 ottobre l’ennesima vicenda processuale legata alle patologie connesse con il lavoro in ambienti esposti ad amianto, quella di Antonio Casula, per oltre un decennio, nella seconda metà del secolo scorso, impiegato come tubista nella ditta che costruisce impianti industriali.
L’uomo aveva scoperto la sua condanna ben quindici anni dopo aver lasciato quel lavoro: mesotelioma pleurico epitelioideo, una patologia che deriva nella quasi totalità dei casi da esposizioni non protette all’amianto e di fronte alla quale le possibilità di sopravvivenza sono praticamente nulle. E infatti Antonio morì nel 2011, a soli 55 anni, lasciando una moglie e una figlia non ancora maggiorenne.
Del suo caso la Procura di Varese inizia a occuparsi già nel momento in cui il mesotelioma pleurico viene diagnosticato, a partire da una segnalazione del registro mesoteliomi. La prima ipotesi di reato è quella di lesioni colpose gravi, poi si arriva al processo per omicidio colposo nel quale è imputato uno dei tre amministratori dell’azienda all’epoca, l’unico vivente, Tarcisio Saporiti, oggi 84 anni. Mercoledì la sentenza: la corte non ha concesso le attenuanti generiche all’imputato, condannandolo a 24 mesi di reclusione (il pm aveva chiesto un anno e otto mesi) e stabilendo una provvisionale a titolo di risarcimento (in attesa della separata causa civile) di 50mila euro nei confronti della vedova e della figlia.
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