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Ricerca, Sissa: studiare l'altruismo con la realtà virtuale
Il dilemma dell'avatar: rischiare per aiutare un ferito o salvarsi

Roma, 9 mar. (askanews) - Un mondo creato al computer per far luce sulle origini dell'altruismo. È questo l'innovativo approccio utilizzato da un gruppo di ricerca della Sissa di Trieste in collaborazione con l'Università di Udine in un nuovo studio appena pubblicato sulla rivista Neuropsychologia.
Immersi in una realtà virtuale che riproduceva un edificio in fiamme da evacuare in fretta, i partecipanti dovevano decidere se mettersi in salvo o interrompere la fuga per aiutare una persona ferita. I risultati ottenuti nella ricerca hanno dimostrato che le persone altruiste sembrano nutrire una più alta preoccupazione per il benessere del prossimo e, inoltre, presenterebbero una corteccia insulare, area del cervello deputata all'elaborazione delle emozioni in un contesto sociale, di dimensioni maggiori. Un risultato che contribuisce a fare luce sulle emozioni alla base dei nostri comportamenti di aiuto e sull'attività di specifiche zone del cervello nel controllare le nostre azioni.
"Gli atteggiamenti altruistici giocano un ruolo molto importante nel sostenere le nostre strutture sociali", spiega Giorgia Silani, responsabile della ricerca effettuata alla Sissa assieme al ricercatore indiano Indrajeet Patil. "Studiare l'altruismo con esperimenti di laboratorio per capire quali sono le parti del cervello coinvolte nel suo sviluppo, e come queste aree funzionino, è piuttosto complicato e pone delle sfide etiche importanti. Durante gli esperimenti, infatti, è molto difficile, se non impossibile, riprodurre delle situazioni in modo realistico. E questo, come è facilmente comprensibile, è ancora più vero quando si voglia analizzare l'altruismo come la spinta ad aiutare qualcun altro mettendo a repentaglio la nostra stessa incolumità".
Per aggirare queste difficoltà, i ricercatori hanno perciò creato un ambiente virtuale caratterizzato da un elevato tasso di verosimiglianza in cui i partecipanti erano completamente immersi. Spiega Indrajeet Patil, primo autore di questo studio svolto alla Sissa durante il suo PhD e che ora sta conducendo il suo post-dottorato presso l'università di Harvard: "L'ambiente in cui ogni partecipante si muoveva era ricreato al computer ma una serie di stimoli e segnali visivi e sonori contribuivano ad aumentare da un lato il realismo della situazione ricreata nell'esperimento, dall'altro la sensazione di ansia e di pericolo. In più un indicatore evidenziava quanta 'energia vitale' era rimasta al proprio avatar".
Quasi alla fine della fuga, quando di questa energia ne era rimasta davvero poca, i soggetti coinvolti si trovavano davanti a una difficile scelta: salvare un ferito intrappolato sotto un armadio che chiedeva aiuto rischiando loro stessi la vita oppure guadagnare subito l'uscita ignorando le sue richieste? Mentre svolgevano la loro avventura nel mondo virtuale gli 80 partecipanti sono stati sottoposti a una risonanza magnetica volta ad acquisire informazioni sulla loro struttura cerebrale. In questo modo gli scienziati hanno potuto mettere in relazione il comportamento adottato con l'anatomia di specifiche aree del sistema nervoso.
"I risultati dello studio ci dicono che la maggior parte delle persone ha compiuto scelte di tipo altruistico: il 65% si è fermato a soccorrere il ferito nonostante le minacce incombenti sulla loro identità virtuale. Inoltre, i dati raccolti tramite questionari hanno rivelato che gli individui che hanno aiutato la persona intrappolata presentano livelli più elevati di preoccupazione di carattere empatico nei confronti degli altri. La propensione del singolo ad aiutare gli altri a costo della propria incolumità sembra essere quindi guidata da motivazioni legate alla cura del prossimo" spiega Patil, sottolineando un'importante evidenza emersa dallo studio.
Per quel che riguarda i dati sulla struttura cerebrale, i ricercatori hanno scoperto che le persone più altruiste dimostravano di avere una specifica area, chiamata insula anteriore, di dimensioni maggiori rispetto a quelli che, nell'esperimento, erano fuggite senza fornire aiuto. "L'insula è una struttura strettamente connessa all'elaborazione delle nostre emozioni sociali", conclude Giorgia Silani. "In questo modo abbiamo potuto associare l'anatomia al comportamento, aprendo interessanti ipotesi scientifiche che potranno essere investigate in successivi lavori".
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