LA SENTENZA
Innocente in cella: otterrà 60mila euro
Nella sua azienda 3 chili di droga e una pistola ma erano di un amico albanese
Trascorse 127 giorni in carcere e sessantaquattro ai domiciliari. Ma era innocente e così Erminio Diodato verrà risarcito dallo Stato per ingiusta detenzione con 60mila euro. Lo ha deciso ieri, mercoledì 17 aprile, la quinta sezione penale della corte d’appello, che ha accolto la domanda dell’avvocato Concetto Daniele Galati presentata a marzo dell’anno scorso.
Il sessantaduenne arrestato il 24 luglio 2020 non era un narcotrafficante e il suo magazzino non era un laboratorio destinato alla raffinazione della cocaina, a differenza di quanto sostenuto dal commissariato. Le sue spiegazioni, per quei tre chili di stupefacente e la Beretta 7,65 (rubata a Besozzo nel 2015) con 22 proiettili trovati nel capannone della sua azienda, non convinsero però la procura e nemmeno la confessione del co-indagato albanese lo fece tornare in libertà. Era innocente, il gup di Busto nel 2021 lo assolse con formula piena mentre l’albanese patteggiò tre anni. Ma nel frattempo l’imprenditore - con dodici anni di onorato servizio nei carabinieri - dovette chiudere l’attività e vivere la sgradevole esperienza carceraria, tanto più pesante per chi non ha mai preso neppure una multa per divieto di sosta. A dire il vero nella casa circondariale di Busto Arsizio Diodato - passò 145 giorni, ma il collegio presieduto da Francesca Vitale ha ritenuto che solo dall’8 agosto 2020, giorno dell’interrogatorio dell’albanese, non ci fossero più dubbi sulla sua estraneità ai fatti. Perché per quanto gli inquirenti faticassero a crederci, il coimputato aveva nascosto armi e droga nella ditta di manutenzione di componenti aeronautici senza che il titolare ne fosse a conoscenza. Eppure la fonte anonima che indirizzò la polizia di Stato in azienda specificò che lo stupefacente fosse di un albanese conosciuto come Beppe.
Scrive il giudice Vitale: «Le intercettazioni ambientali dei colloqui in carcere rappresentavano la pacifica prova» di estraneità ai fatti «ma neppure gli accertamenti dattiloscopici sui sacchetti che contenevano la sostanza furono sufficienti per convincere il pm del venir meno dei gravi indizi di colpevolezza». Dunque devono essere prese in considerazione «la perdita dell’attività lavorativa in conseguenza dell’eco mediatica della vicenda che ha determinato la revoca della licenza da parte dell’Enac, come adeguatamente documentato dal difensore Galati». Basteranno 60mila euro per ripartire? L’avvocato Galati aveva chiesto mezzo milione di euro, il massimo concesso in materia di istanza di riparazione per ingiusta detenzione. L’imprenditore potrebbe anche ricorrere per ottenere un ristoro maggiore.
© Riproduzione Riservata